Orlando furioso

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1556.

La grande fortuna editoriale dell’Orlando Furioso nel Cinquecento si deve anche agli stampatori veneziani, che dal 1530 iniziarono a pubblicare l’opera in edizioni illustrate. Con tutti i suoi intrecci e personaggi il poema di Ariosto ben si presta ad una narrazione figurata e l’edizione del 1556 qui presentata è una delle più belle e importanti. Il suo punto di forza sta nella novità dell’apparato iconografico: l’ignoto incisore illustra nella xilografia iniziale tutto il canto e non solo la scena principale. Partendo dal basso, riproduce il canto in una sequenza ascendente di immagini: il lettore ha così l’impressione di sorvolarle dall’alto, come in sella all’Ippogrifo.

Ludovico Ariosto (1474-1533) lavorò per trent’anni al suo poema: cominciò a scriverlo verso il 1504 (le prime notizie certe sono del 1507), a Ferrara alla corte dei duchi d’Este, presso i quali fu al servizio per tutta la vita, e continuò a correggerlo e modificarlo fino alla sua morte. La prima edizione è del 1516 in 40 canti, la seconda del 1521, riveduta nella lingua e nello stile; la terza e ultima del 1532, anch’essa stampata a Ferrara, molto diversa dalle precedenti nella struttura e nella lingua: infatti l’Ariosto, anche in seguito al grande successo ottenuto, portò il numero dei canti a 46 e lo sottopose ad una toscanizzazione della lingua, aprendosi così ad un pubblico nazionale. In questa edizione, inoltre, per la prima volta, sul frontespizio comparve il suo ritratto eseguito da Tiziano, poi riprodotto in tutte le edizioni successive.

La fortuna dell’Orlando furioso nel Cinquecento fu enorme, con edizioni “per tutti i gusti e per tutte le tasche”, rivolte ad un vasto pubblico di lettori. La vera svolta che ne fece un best-seller dell’epoca - la sua tiratura fu inferiore solo a quella della Bibbia - si deve agli stampatori veneziani, che iniziarono già dal 1530 a pubblicare edizioni illustrate del poema, abbellendo così il volume e agevolando il lettore nel ricordare i numerosi personaggi e la trama complessa. Tra le molte storie del poema, presentato come una continuazione de L’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, sullo sfondo della guerra tra cristiani e saraceni, due sono le vicende portanti: l’amore tra il pagano Ruggero e la cristiana Bradamante, che si conclude con le nozze da cui discenderà la dinastia estense, e la follia di Orlando che impazzisce d’amore per Angelica e che ritrova alla fine il senno perduto, grazie ad Astolfo che sale sulla Luna per recuperarlo. Intorno ad esse, “le donne, i cavallier, l’arme, gli amori” si inseguono e si intrecciano in numerosi episodi, che ben si prestano ad una narrazione figurata: tra le edizioni più importanti si segnalano quella di Gabriel Giolito del 1542, a cura di Lodovico Dolce, e la presente di Vincenzo Valgrisi del 1556, curata da Girolamo Ruscelli.

Il vero punto forte e la novità di questa fortunatissima edizione è l’imponente apparato iconografico: per la prima volta la xilografia all’inizio di ogni canto è a tutta pagina e strutturata per rendere tutto il “narrato” del canto, non solo la scena principale, usando la prospettiva per scandire lo spazio e il tempo. L’ignoto incisore, tuttora oggetto di studio e di attribuzione, grazie alla prospettiva traduce la trama in una coerente sequenza di immagini che, partendo dal basso, punto di inizio della narrazione, con le figure in primo piano, si sviluppa secondo un moto elicoidale e sfuma via via fino allo sfondo, in alto, dove si affollano i protagonisti dell’episodio che chiude il canto: è proprio “come se il lettore le osservasse veramente volteggiando in sella all’ippogrifo” (Andreoli, pag. 98): si veda il video Donne Cavalieri Incanto Follia.

L’ippogrifo è la fantastica creatura alata a cui dà vita Ariosto, prendendo spunto dalla metafora di Virgilio ”incrociare i grifoni coi cavalli” (“iungeant iam grypes equis” egloga VIII), a indicare l’impossibile. È il magico destriero del mago Atlante, veloce e indomabile, che solo lui poteva controllare. Il suo volo leggero attraversa il poema e accompagna vari personaggi: Atlante e Bradamante in lotta (canto IV), Ruggero nell’isola di Alcina (canto VI) e nei suoi fantastici viaggi per il mondo (canto X) e Astolfo, nei suoi viaggi terreni e ultraterreni, nell’Inferno e nel Paradiso terrestre (canti XXXIV - XXXV). Qui Astolfo incontra San Giovanni evangelista che gli rivela il volere divino e il suo compito: riportare a Orlando, paladino della cristianità, il senno perduto. Nel punto culminante del poema, l’ippogrifo quindi da magico compagno d’avventura diventa strumento di un alto disegno: consentirà il viaggio sulla Luna ad Astolfo. Egli, infatti, insieme a San Giovanni, sul carro del profeta Elia - e non sull’ippogrifo - giunge sulla Luna, dove si raccoglie tutto ciò che viene smarrito sulla Terra e tra le ampolle del senno perduto trova quella di Orlando. Compiuta l’impresa e tornato nel mondo, dopo un’ultima avventura e come promesso a San Giovanni, Astolfo libera l’ippogrifo.

Libro conservato presso: Polo 6 – Biblioteca di Storia delle arti, Collocazione Fondo Bellini Pietri - Rc 1

Bibliografia

  • Andreoli I., L'Orlando furioso "tutto ricorretto et di nuove figure adornato". L'edizione Valgrisi (1556) nel contesto della storia editoriale ed illustrativa del poema fra Italia e Francia nel '500 in "Autour du livre italien ancien en Normandie", a cura di S. Fabrizio-Costa, Bern, Peter Lang, 2011, p. 41-132
  • Bolzoni L. (a cura di), L’Orlando Furioso nello specchio delle immagini, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2014
  • Bolzoni L., Pezzini S., Rizzarelli G. (a cura di), “Tra mille carte vive ancora”. Ricezione del “Furioso” tra immagini e parole, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2010
  • Zatti S., Leggere l’”Orlando furioso”, Bologna, Il Mulino, 2016
icona libro digitaleCopia digitale, Internet Archive, originale della Duke University Library, Durham

Scheda del libro nel catalogo di Ateneo (OneSearch)